Oggi ogni squadra ha un allenatore in panchina, uno staff tecnico, analisti, dirigenti e strategie. Ma c’è stato un tempo in cui il destino dell’Inter dipendeva da un solo uomo in campo. Non era un mister, non era un presidente. Era un giocatore. E si chiamava Virgilio Fossati.
Tra il 1908 e il 1915, quando il calcio italiano muoveva i primi passi, la figura dell’allenatore non esisteva ancora. Ed è qui che nasce una delle curiosità più straordinarie della storia dell’Inter: Fossati fu il primo capitano-allenatore della squadra, l’uomo che decideva tutto senza mai alzarsi dalla panchina, perché la panchina… non c’era.
Quando non c’erano schemi, ma volontà
Niente lavagne tattiche, niente moduli numerici. Il calcio era puro istinto, confusione e polvere. Ma Fossati, a soli diciannove anni, capì che per vincere non bastava correre: bisognava pensare.
Fu lui a introdurre per primo una primitiva forma di tattica. Non studiava sui libri, studiava le partite. Non parlava di pressing o diagonali, parlava di “cammino del pallone”. Nel caos dei primi campionati, lui fu la prima bussola.
Il capitano che sceglieva la formazione
Oggi un allenatore convoca 23 giocatori, ne sceglie 11 e decide cambi e strategie. Allora, tutto questo gravava sulle spalle di un solo uomo: il capitano. Fossati non solo indossava la fascia, ma stabiliva chi giocava, come giocava e perché giocava.
Se un compagno non era in forma, lui lo escludeva. Se vedeva un giovane promettente, lo faceva esordire. Fue lui a far emergere nomi che avrebbero scritto altre pagine nerazzurre, come Campelli e Aebi.
I cronisti dell’epoca scrivevano:
“L’Inter va in campo guardando Fossati. Da lui attende l’ordine, da lui nasce il silenzio prima della battaglia.”
Il primo ritiro della storia dell’Inter
Una delle curiosità più incredibili della sua carriera riguarda il primo “ritiro tecnico” della squadra. Nessun club italiano l’aveva mai fatto. Fossati notò che i suoi compagni erano troppo dispersi, troppo individualisti. Decise allora di riunirli per giorni lontano da Milano, in una casa di campagna.
Non ci fu allenamento fisico. Ci fu dialogo. Parlò con ciascuno, li ascoltò, costruì un’unità. Nessuno lo aveva chiesto. Nessuno lo aveva insegnato. Lo fece perché intuì che un gruppo si crea fuori, non dentro il campo.
Il silenzio prima del fischio
Chi ha assistito alle sue partite racconta una scena ripetuta: poco prima dell’ingresso in campo, Fossati camminava davanti alla fila dei giocatori e li guardava uno per uno. Non servivano parole. Dieci teste si abbassavano. Era un patto.
Non c’era stipendio, non c’era professione. C’era solo appartenenza. E quell’appartenenza aveva un volto.
Il giorno in cui divenne “allenatore senza panchina”
Una partita del 1910, contro la Juventus, rivelò il suo ruolo nascosto. L’Inter era in difficoltà, sotto di due gol. Durante una pausa di gioco, Fossati chiamò tutti a sé. Formò un cerchio, parlò con calma. Non discusse, ordinò.
Minuti dopo, la squadra cambiò volto. Vinse. Un giornalista scrisse:
“Pareva che l’Inter giocasse dentro la sua fronte.”
Compagni guidati, avversari rispettosi
Molti lo temevano, ma nessuno lo odiava. Giuseppe Milano, capitano della Pro Vercelli, disse una frase rimasta famosa:
“Non discutevo con Fossati. Lo ascoltavo.”
Era severo, ma giusto. Quando un compagno fu espulso ingiustamente, lo accompagnò fuori tenendolo per mano. Quando un giovane sbagliò un gol, lo difese davanti alla stampa. L’autorità non aveva bisogno di urla. Bastava la sua calma.
L’uomo che dette voce a un club
Una curiosità ancora più profonda emerge dai racconti successivi: Fossati non parlava spesso. Ma quando lo faceva, tutti tacevano. Era un allenatore interiore, non esteriore. Addestrava con i silenzi, più che con le frasi.
E quando gli chiedevano perché non cercasse la gloria personale, rispondeva sempre:
“Se l’Inter vince, io ho già vinto.”
Il comando fino all’ultimo giorno
L’ultima decisione tecnica della sua carriera non fu su un campo, ma su un confine. Si arruolò volontario. Poteva essere esentato. Scelse di partire, come aveva sempre scelto di guidare. Non tornò più.
L’Inter, senza Fossati, tornò bambino.
Un curioso destino: nessuno lo sostituì
Quando morì, l’Inter per la prima volta nominò un allenatore vero. Ma nessuno prese il suo titolo. Per anni, i compagni lo ricordarono così:
“Fossati non era un mister. Era l’Inter.”



