Nel 1973, dopo quindici stagioni all’Inter, Corso passa al Genoa. È la scelta di un leader che accetta di rimettersi in discussione, lontano dalla comfort zone. Porta esperienza, tecnica, leadership. Ma la prima stagione si chiude con la retrocessione.
Restare anche in Serie B
Curiosità di carattere: non fugge. Decide di restare per affrontare la B con il Grifone, mettendo il proprio nome a servizio della risalita. È un gesto che racconta l’uomo oltre il campione: responsabilità e coerenza.
L’infortunio che cambia tutto
All’inizio della stagione in cadetteria, il destino presenta il conto: una frattura alla tibia. Operazione, placca, recupero. Quando il rientro sembra vicino, la tibia si spezza di nuovo in allenamento. La carriera finisce lì, non su un prato festante ma in una stanza medica.
L’accettazione e la dignità
Molti campioni si spengono lentamente. Corso, invece, si spegne di colpo come calciatore e si riaccende come tecnico e osservatore. Trasforma la frustrazione in energia professionale, cambia ruolo senza perdere identità. È una lezione che vale per chiunque faccia sport.
L’eredità al Genoa
Nonostante l’epilogo, il Genoa lo inserirà nella propria Hall of Fame. Il segno lasciato in spogliatoio e in campo supera il numero delle partite giocate. È il riconoscimento di un modo di stare nel club: serio, coinvolto, rispettoso.
La fragilità del corpo e la forza dell’idea
La doppia rottura della tibia ricorda quanto il calcio sia fatto di dettagli fragili. Ma le idee non si fratturano: il sinistro di Dio diventa allora un patrimonio da trasmettere. E Corso sceglie di farlo, tornando dove tutto ha senso, tra i ragazzi e nei campi d’allenamento.
Un addio che parla di futuro
Finire così non cancella nulla. Anzi, amplifica: racconta la persona, non solo il professionista. Il calcio, attraverso di lui, mostra che ogni fine può essere un inizio.



