Eligio Vecchi lo intravede, Meazza dà l’ok. L’Inter investe su un quattordicenne mantovano pagandolo 400 mila lire. È l’inizio della filiera: osservazione, formazione, competizione. Una curiosità che illumina la profondità del settore giovanile nerazzurro.
L’educazione calcistica interista
Nei campi della base, Boninsegna apprende disciplina, tecnica funzionale, letture dell’area. Non è il prodotto di una scuola estetizzante: è un finalizzatore costruito su ripetizioni e concretezza.
Il valore dei prestiti
Prato e Potenza lo forgiano nella durezza della B, Varese lo testa in A. L’Inter lo lascia crescere altrove per poi riportarlo quando è pronto. È una catena che negli anni ha fatto la differenza in tanti casi, ma con Boninsegna trova l’esempio più luminoso.
Il rientro e la leadership silenziosa
Tornato nel 1969, si mette al servizio del progetto senza proclami. Segna, trascina, non parla molto. Questa attitudine si sposa con la cultura interista: fare, più che dire. È un esempio per i giovani che salgono.
Una traiettoria che educa
Dalla Primavera al titolo di capocannoniere, dallo scudetto alla finale europea: ogni passaggio racconta un percorso intenzionale, non casuale. L’Inter dimostra che i talenti vanno accompagnati lungo strade anche tortuose.
La curiosità del cerchio che si chiude
Pochi attaccanti sono tornati al club d’origine per diventare icone. Boninsegna ci riesce. Nelle statistiche, 171 reti totali in nerazzurro certificano il successo della filiera. Nella memoria, è l’immagine di un ragazzo cresciuto in casa che ha conquistato San Siro.
Un modello ancora attuale
Oggi si parla di loan strategy e percorsi personalizzati. L’Inter di Boninsegna lo faceva già allora. È una curiosità storica che suona modernissima: la pazienza è un vantaggio competitivo.



