Nel 1967, durante i suoi anni cagliaritani, Boninsegna prende parte al torneo USA con i Chicago Mustangs. Segna 11 gol e vince la classifica cannonieri. Una curiosità internazionale per un attaccante italiano, allora rarissima.
Ritmi, viaggi, campi diversi
Quelle settimane negli Stati Uniti significano voli, terreni irregolari, avversari sconosciuti. Per un numero nove europeo è una palestra mentale e fisica inattesa: abitudine all’imprevisto, resilienza, fame di rete in condizioni non ideali.
Un bagaglio che torna utile a Milano
Quando rientra in Italia e, due anni dopo, approda all’Inter, quel bagaglio si vede. Boninsegna è pronto a semplificare il gesto, a trovare il gol anche sporco. In un calcio meno patinato di oggi, questa attitudine vale oro.
Il peso specifico delle esperienze
L’Inter ha spesso capitalizzato percorsi formativi esterni dei propri campioni. Nel caso di Boninsegna, la tappa americana è un acceleratore di maturità. Lontano dalla comfort zone europea, affina istinto e tempi.
Un primato curioso
Diventare capocannoniere all’estero prima di esplodere in nerazzurro è un unicum nella storia interista. Il segnale era già lì: l’attaccante aveva nel DNA la capacità di fare gol ovunque. L’Inter, riportandolo a Milano, si prende un finalizzatore internazionale.
Dall’America a San Siro
San Siro è un altro pianeta rispetto ai campi USA di allora, ma l’indole è la stessa: attaccare, colpire, decidere. Il ponte ideale tra Chicago e Milano lo costruiscono i suoi gol, un filo curioso che unisce una parentesi esotica al cuore della storia nerazzurra.
Una lezione per il futuro
Quell’esperienza conferma una verità semplice: i grandi centravanti crescono anche nell’attrito. Per l’Inter, ritrovare Boninsegna dopo quella tournée significò acquisire un giocatore temprato dagli imprevisti, perfetto per il calcio pragmatico dell’epoca.



