Tra i tanti capolavori di Mario Corso, il suo marchio di fabbrica resta il tiro a foglia morta. Calciando con l’interno sinistro e quasi ignorando il destro, imprimeva al pallone una traiettoria che si alzava e poi precipitava all’ultimo, ingannando portieri preparati e difese studiate. Non era soltanto potenza o precisione: era una scienza personale del contatto col cuoio, nata nei cortili di Verona e perfezionata a San Siro. Il pubblico capì presto che ogni punizione dal limite, per l’Inter, era una mezza occasione da rete.
Le radici veronesi del talento
Ragazzo di San Michele Extra, Corso cresce con esercizi che oggi sembrerebbero stravaganti: colpire di tacco i noccioli di ciliegia e farli entrare in tasca. Quella ricerca ossessiva del tocco e del controllo fine spiega perché, in spazi stretti, sapesse tenere la palla incollata al piede e ubriacare l’avversario. Quando l’Inter lo porta a Milano, porta con sé quell’arte di strada e la trasforma in grammatica da grande calcio.
Visione a testa alta e lanci millimetrici
La punizione era il colpo finale, ma la sua partita era un romanzo fatto di sguardi. La corsa a testa alta gli concedeva una visione panoramica, base dei lanci lunghi “tagliati” come steccate di biliardo. Serviva compagni in corsa o li metteva soli davanti al portiere con una carezza che sembrava semplice solo a vederla. Nel calcio della Grande Inter, dove i ritmi erano feroci e gli equilibri sottili, quel piede sinistro dava il tempo.
Didi, Sivori e un’eredità reinterpretata
La foglia morta aveva già un antenato illustre in Didi, ma Corso la rielaborò: diverso impatto, diversa curva, stesso effetto sorpresa. L’ispirazione estetica veniva anche da Omar Sivori, omaggiato nei calzettoni sempre abbassati—a ricordare che il calcio può essere anche stile. In campo, però, Mario non imitava: reinventava. La punizione diventò così un gesto italiano con accento veronese.
Psicologia della distanza e della barriera
Una delle curiosità più sottovalutate fu la gestione mentale della punizione. Corso si muoveva come un pittore davanti alla tela: pochi passi, occhi sul portiere, correzione dell’angolo, poi il colpo. La barriera spesso saltava, il portiere aspettava l’effetto e invece la palla cadeva. Era l’arte di far credere all’avversario una cosa e farne un’altra. Sembrava magia, era controllo del margine d’errore.
Gol simbolo e ricorrenze decisive
Nel suo repertorio restano punizioni pesanti, in Italia e in Europa. L’efficacia non fu mai una questione di quantità assoluta, ma di qualità e momento. In una squadra dove segnare contava meno che vincere, il suo piede trasformò partite complicate in spartiti ordinati. Ogni volta che la sfera superava la barriera e s’inabissava dietro il portiere, l’Inter ritrovava certezze.
Un gesto che ha fatto scuola
Molti, dopo di lui, hanno provato a replicare la foglia morta. In pochi hanno ritrovato quella combinazione di coraggio, sensibilità e fisica. Corso resta il riferimento italiano del calcio piazzato “a cadere”: un modo di calciare che regala al calcio la sua parte poetica e sorprendente, dove l’ultimo metro vale più di tutti gli altri.



