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Bonny: “Voglio la fame di Lautaro e i movimenti di Thuram”. La verità tattica sul nuovo attaccante nerazzurro

Ad Appiano Gentile soffia un vento nuovo, fatto di talento, umiltà e crescita continua. Ange-Yoan Bonny, 22 anni, non è più solo l’attaccante interessante arrivato dal Parma: è un progetto tecnico in piena evoluzione, un profilo che sta imparando il linguaggio dell’Inter e al tempo stesso dando segnali convincenti sul proprio futuro. L’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport è una finestra preziosa sul suo modo di intendere il calcio, sulle sue ambizioni e sul rapporto con i compagni che lo stanno guidando.

La dichiarazione che colpisce più di tutte è quella che rivela la consapevolezza del ragazzo: “Vorrei avere la fame sotto porta di Lautaro e i movimenti di Thuram”. Non è soltanto un complimento ai due leader dell’attacco nerazzurro, ma un vero manifesto tecnico. Bonny sa esattamente quali sono le sue aree di miglioramento e quali qualità vuole acquisire per diventare un attaccante completo. E non è affatto scontato, per un giocatore della sua età, individuare con questa lucidità le caratteristiche da rubare ai compagni più esperti.

La fame di Lautaro: un modello di ossessione positiva

Quando parla di Lautaro Martínez, Bonny non usa giri di parole: “Essere alla sua età il quarto marcatore della storia dell’Inter è straordinario. Lui vuole sempre segnare”. Il Toro è, per definizione, l’attaccante che vive la partita come un’urgenza. Ogni palla vagante, ogni contrasto, ogni respinta del portiere è un’occasione. Bonny vede questa ossessione positiva e capisce che, per arrivare a quei livelli, deve imitare proprio questo atteggiamento quasi animalesco sotto porta.

L’idea della “fame” di Lautaro non è solo un concetto generico. Significa:

– attaccare il primo palo prima del difensore
– vivere ogni respinta come un’opportunità
– muoversi senza palla con continuità, anche quando è stanco
– non accontentarsi mai del primo gol
– entrare nell’area piccola con decisione
– cercare il tiro anche quando l’angolo sembra chiuso

Bonny lo osserva ogni giorno in allenamento e ha capito che la differenza non è soltanto tecnica: è mentale. “Vorrei quella fame lì”, dice con una sincerità che lo rende simpatico e credibile agli occhi del tifoso. Non finge di essere già un campione: aspira a diventarlo, sapendo quanto è difficile.

L’arte dei movimenti di Thuram: potenza, velocità e letture da big

Se Lautaro è la fame, Marcus Thuram è il movimento. Bonny lo sa bene: già ai tempi del Parma, quando non erano compagni ma si conoscevano a distanza, il giovane francese osservava con attenzione il modo in cui Thuram attaccava lo spazio. Oggi, all’Inter, quelle lezioni diventano quotidiane.

Nel descrivere il compagno di reparto, Bonny usa parole che rivelano una grande ammirazione: “Marcus sa fare tutto: gol, dribbling, assist”. È una valutazione precisa, non un’esagerazione. Thuram è uno degli attaccanti più moderni del campionato: grande fisicità, tecnica in progressione e una sensibilità particolare nel costruire la manovra.

Bonny vorrebbe assorbire soprattutto tre aspetti:

– la potenza in progressione
– l’intelligenza nel muoversi senza palla
– la capacità di legare il gioco in ogni zona del campo

Le similitudini tra i due, per sua stessa ammissione, non mancano: corporatura forte, velocità, facilità ad attaccare la profondità. “Forse con lui ho qualche similitudine in più”, dice. Ma la sua frase successiva mostra la consapevolezza del ragazzo: “Siamo diversi e possiamo giocare insieme”. È un messaggio importante per Chivu: Bonny non si vede come alternativa, ma come complemento potenziale.

Un apprendistato serio: difetti da correggere e un piano di crescita chiaro

L’intervista mette in luce una parte del carattere di Bonny che piace molto ai tifosi: l’onestà. Non si nasconde dietro al talento, non gioca a fare il predestinato. A 22 anni parla con una maturità notevole quando elenca i difetti che vuole correggere.

“Il gioco spalle alla porta, qualche volta ho perso palloni stupidi”, ammette. È un’autocritica rara, che dimostra la volontà di migliorare in un fondamentale cruciale per un attaccante dell’Inter. Giocare spalle alla porta non significa solo far salire la squadra: significa leggere la pressione del difensore, sapere quando girarsi, quando proteggere palla, quando giocare di prima.
È il dettaglio che separa un giocatore giovane da uno maturo.

Il secondo limite riguarda il colpo di testa: “Devo migliorare anche quello”. Bonny è alto, potente, strutturato: ha tutto per diventare un pericolo sui cross e sulle palle inattive. Ma l’elevazione, il tempo di stacco, la direzione del colpo sono aspetti che richiedono allenamento continuo, soprattutto in Serie A.

Infine la resistenza: “Giochiamo ogni tre giorni e lavoriamo duramente”. Qui si vede tutta la differenza tra il Parma e l’Inter. Il ritmo, la preparazione, la densità di partite sono completamente diversi. Bonny sta assorbendo nuovi carichi, nuovi automatismi, nuove abitudini da atleta di alto livello.

La cultura dell’Inter: pretendere sempre di più

Uno dei passaggi più interessanti dell’intervista è quando Bonny spiega il suo stupore iniziale: “Serve tempo per capire dove sei, per realizzare quanto grande sia questo club. Il livello si alza continuamente, già dagli allenamenti”.
È un messaggio chiaro: all’Inter non basta allenarsi bene. Bisogna allenarsi meglio di ieri. Ogni giorno.

Bonny ha trovato un ambiente che lo spinge oltre, dove nessuno lo lascia solo e dove, contemporaneamente, nessuno gli regala nulla. Il riferimento ai compagni italiani – Bastoni, Acerbi, Bisseck – è un dettaglio che pesa: i leader del gruppo non sono solo esempi visivi, ma veri motori della crescita dei giovani.

L’umiltà di chi non vuole fare il fenomeno

Una delle parti più belle dell’intervista è quando Bonny dice chiaramente che a lui – come a Pio Esposito – “non piace fare il fenomeno”. Lo dice quasi con imbarazzo, come se la fama fosse un vestito che non sente ancora suo. E forse è proprio per questo che nel gruppo nerazzurro piace così tanto: non alza la voce, non si mette in mostra, non cerca titoli facili.

È timido? Sì, un po’. Lo ammette. Ma è una timidezza che non limita la sua determinazione, anzi la amplifica. Ascolta tutti: i compagni che parlano francese, i veterani, il mister, gli amici. Bonny è uno che impara, e questa è sempre una qualità preziosissima nei giovani.

Un attaccante del presente, ma soprattutto del futuro

Nel complesso, l’intervista lascia un’impressione forte: Bonny è un progetto vero, un profilo che Chivu e il club stanno costruendo con intelligenza. Ha la struttura fisica, la velocità, la tecnica, la disponibilità, la fame di migliorarsi e la personalità giusta per diventare parte integrante dell’Inter di oggi e di quella di domani.

Non promette numeri, non fa proclami. Si dà un obiettivo semplice e profondissimo: “Rendere fieri i tifosi”.

E spesso, nella storia nerazzurra, i campioni sono nati da parole esattamente così.

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