Quando un fuoriclasse come Pelé individua un calciatore europeo che vorrebbe nella sua nazionale, la frase diventa certificato. Per il brasiliano, Corso era il Professore: un riconoscimento che dice tutto sulla finezza tecnica del mancino veronese e sulla sua capacità di dettare tempi e traiettorie.
La chiamata del Resto del Mondo
Nel 1967 la FIFA organizza un’amichevole di gala in onore di Ricardo Zamora. Nella selezione del Resto del Mondo c’è anche Mario Corso. Il contesto è simbolico: un giocatore che incarna il gusto europeo per la tecnica viene chiamato a rappresentarlo in un palcoscenico internazionale.
La dimensione oltre i confini italiani
In anni in cui la comunicazione globale era limitata, costruire fama internazionale significava imporsi nelle gare che contavano. Coppe europee, finali intercontinentali, amichevoli di lusso: Corso frequentò con naturalezza questi scenari, lasciando ovunque la sensazione di un sinistro che suonava diverso.
Il paradosso azzurro
La curiosità che sorprende i più giovani: con l’Italia, il rendimento non fu all’altezza del talento espanso in club. Tra scelte tecniche, esclusioni pesanti e un rapporto complesso con CT e vice, accumulò 23 presenze e 4 gol. Il prestigio globale nacque quindi più dal club e dagli incontri internazionali di cartello che dalla maglia azzurra.
Riconoscimenti e graduatorie
Tre candidature al Pallone d’Oro e un settimo posto nel 1964 testimoniano la considerazione dei giurati. Non si tratta solo di emozione da stadio; sono segnali “istituzionali” di un valore percepito oltre confine. L’estetica, con Corso, si convertì in reputazione.
Cosa vedevano gli avversari
Gli avversari parlavano di un giocatore difficile da leggere: non per la velocità, ma per l’imprevedibilità delle scelte. Il mancino che piega l’aria, l’assist che sembra non avere finestra, il tempo rallentato sul suo tocco. Al di là delle cifre, era l’esperienza sensoriale contro di lui a restare impressa.
Un ambasciatore dell’arte italiana
In un calcio che stava industrializzandosi, Corso teneva accesa la lampada dell’arte. La sua dimensione internazionale non fu una parentesi, ma una linea continua: dal rispetto dei pari alla convocazione simbolica nel Resto del Mondo, il Professore restò tale in ogni lingua.



