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Mariolino e i calzettoni abbassati, quando lo stile diventa identità

Nel mare di maglie e numeri, bastava uno sguardo: calzettoni abbassati, falcata morbida, postura eretta. Così si riconosceva Mario Corso, l’uomo che trasformò un dettaglio estetico in un tratto di carattere. L’omaggio dichiarato a Omar Sivori era diventato simbolo personale e, per i tifosi dell’Inter, un segnale di bellezza in campo.

Il perché di una scelta che parlava di calcio

Non era solo vezzo. Con i calzettoni bassi, Corso avvertiva maggiore libertà di caviglia, quasi la stessa dei pomeriggi di allenamento nei campetti veronesi. Il contatto palla-terreno, da lui ossessionato, guadagnava in sensibilità. In un’epoca in cui la tecnica era spesso accompagnata da cattiveria agonistica, lui mostrava di preferire il pennello alla mazza.

Riconoscibilità e pressione mediatica

Quel gesto lo consegnò alla riconoscibilità, e con essa arrivò la pressione. Ogni volta che l’Inter faticava, qualcuno guardava il numero 11: i calzettoni erano un promemoria, quasi una promessa di luce. Corso accettava l’onere senza cambiare una virgola del suo stile, trasformando un possibile boomerang in cifra narrativa.

Una risposta alla fisicità dell’epoca

Negli anni Sessanta e Settanta, i contrasti erano più ruvidi e la tolleranza arbitrale più ampia. Presentarsi così, “scoperto” alle caviglie, sembrava una provocazione. In realtà era una sfida inversa: costringere l’avversario a inseguire il pallone più che le gambe, usare l’astuzia per togliersi dal contatto prima che arrivasse.

L’effetto sullo spogliatoio e sui tifosi

Compagni e pubblico sapevano leggere i segni. Se Mariolino “vestiva” la partita con quel look disinvolto, significava che stava bene, che il tocco girava. La Curva aspettava la punizione, ma anche il dribbling col piede sulla palla e il cambio di fronte con cui apriva finestre inattese. L’immagine diventava preambolo di contenuti.

Eredità di un’estetica funzionale

Tanti calciatori, nei decenni, hanno adottato dettagli estetici distintivi. Pochi li hanno messi a sistema con le proprie qualità. In Corso forma e funzione coincisero: i calzettoni bassi non furono mai un costume, ma l’ultimo tassello di una filosofia che metteva tecnica, visione e libertà creativa davanti a tutto.

Quando lo stile diventa memoria collettiva

Oggi basta una foto sgranata perché la memoria riaffiori: calzettoni giù, sinistro pronto, sguardo alto. È il ritratto di un calcio che aveva spazio per l’arte. E di un artista che, pur nel professionismo più duro, seppe difendere il diritto alla bellezza.

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